Associazione Coordinamento Solidarietà e Cooperazione

Salerno

mostra interattiva

Qui non ho visto nessuna farfalla

 

Le iniziative per il Giorno della Memoria 2008

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LA CHIESA E LA SHOA’

di Piero Terracina

Non sono certamente uno storico. Sono un testimone della Shoà, una vittima della Shoà. 

Sono stato deportato quando avevo 15 anni con tutta la mia famiglia: i genitori, il nonno, i miei due fratelli, mia sorella e uno zio e della mia famiglia sono l’unico sopravvissuto.  

Sono stato rinchiuso in quel luogo di vergogna per l’umanità intera che si chiama Auschwitz, il lager costruito per lo sterminio totale del popolo ebraico dove si uccidevano e si riducevano in fumo e cenere fino a 10.000 esseri umani al giorno. Una ecatombe senza fine; una fila interminabile di uomini, donne, vecchi, bambini che arrivavano da tutta Europa dopo un viaggio allucinante, un viaggio verso l’abisso, compressi in carri bestiame. 

Giorno e notte dopo la selezione dell’arrivo, i prigionieri venivano avviati verso quegli orrendi stabilimenti dove ininterrottamente usciva dalle ciminiere fumo e fiamme, costruiti con criteri scientifici da uomini anche colti, certamente anche intelligenti, da persone abituate alla vita quotidiana, persone come me, come voi. 

E tutto tra l’indifferenza del mondo perché tutti sapevano; non sapeva forse l’uomo della strada ma i governanti, alleati o nemici della Germania, la Croce Rossa,  il Vaticano non potevano non sapere.  Nessuno si è mai chiesto dove erano diretti quei treni di disperati che attraversavano l’Europa?  e che magari rimanevano fermi nelle stazioni   grandi e piccole per ore e  ore e la gente sentiva, vedeva quello che accadeva, sentiva il pianto dei bambini, i lamenti dei malati, le invocazioni degli adulti che imploravano che venisse data un po’ d’acqua che i prigionieri stavano morendo di sete. 

Non  possono  scomparire 6.000.000 di esseri umani nel nulla.

Non solo erano in tanti a sapere quando lo sterminio era in atto, ma erano tanti anche coloro  che, già a partire dal 1940, sapevano quello che sarebbe poi avvenuto. Nel libro pubblicato dalla Camera dei Deputati “Le leggi razziali e la persecuzione degli ebrei” che il presidente Violante volle che fosse distribuito a tutti i parlamentari quando era in discussione in Parlamento il progetto di legge per l’istituzione del giorno della memoria, è riportata una vignetta pubblicata  sul periodico dei giovani fascisti intitolato “libro e moschetto” che è sintomatica e che, per il suo contenuto, è agghiacciante. Raffigura un barattolo di vetro con immerso nell’alcool lo stereotipo dell’ebreo; sull’etichetta c’è la scritta “Fetus Judeum. Facsimile di una brutta razza vissuta fino al 1940 sterminata poi da uomini di grande genio". E poi la didascalia: “ecco come ci ricorderemo degli ebrei nel 2000.”

 E poiché nessuno poteva immaginare l’inimmaginabile, ritengo che nell’ambiente dove la vignetta è nata fossero già a conoscenza del programma di sterminio che sarebbe stato poi attuato. Una vignetta del genere avrebbe dovuto scatenare l’indignazione di gran parte della popolazione  e principalmente delle autorità religiose. Invece niente, solo indifferenza.

Come vittima della Shoà certamente il mio giudizio non può essere distaccato. Ha detto Tullia Zevi, e io concordo pienamente con lei,: “Il passato va giudicato senza spirito di vendetta, ma anche senza revisioni ingiustificate, senza amnesie, senza assoluzioni gratuite, senza subdoli perdonismi.”

Non mi meraviglia più di tanto che la Chiesa cattolica e per essa il pontefice Pio XII non siano intervenuti per fermare il genocidio.

Io sono stato arrestato il 7 aprile 1944, sabato e prima sera della Pasqua ebraica. Il giorno successivo era il giorno di Pasqua, la Pasqua cattolica. Il venerdì precedente, venerdì santo, in tutte le chiese del mondo ancora una volta veniva lanciata la maledizione contro i “perfidi giudei” “popolo deicida”, e tra i perfidi giudei c’ero anch’io come c’era anche il piccolo senza nome, figlio di Marcella Perugia, nato il 17 ottobre 1943 nel collegio militare di Roma a due passi dalla Città del Vaticano dove gli ebrei rastrellati nella grande razzia del ghetto di Roma erano stati rinchiusi, che fu ucciso e dato alle fiamme il 23 ottobre successivo subito all’arrivo ad Auschwitz. 

E che cos’è la maledizione se non invocare la punizione divina? Ecco allora che per i cattolici credenti, poiché la preghiera non può ridursi ad un rituale senza significato, la loro invocazione è stata esaudita. 

Ci sono voluti ancora tanti anni, il Papa buono Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II per togliere  questa maledizione dalla liturgia di Pasqua. 

E’ certo che se l’80% degli ebrei italiani si è salvato è stato perché è stato aiutato da non ebrei a sfuggire alla cattura e tra i salvatori  molti appartenevano al clero che avevano per iniziativa personale anticipato la risoluzione del concilio vaticano II°. Sono quelle persone che noi ebrei chiamiamo “Giusti”, “Giusti delle genti” perché, come è detto nella tradizione ebraica, “chi salva una vita salva il mondo intero”.

Vorrei qui ricordare padre Massimiliano Kolbe che per altruismo ha trovato ad Auschwitz la più terribile delle morti nel bunkerblock, il canile come veniva chiamato, dove il prigioniero punito veniva rinchiuso senza acqua e senza cibo fino alla morte.

Io penso che se quel 16 ottobre 1943, quando gli ebrei rastrellati nel ghetto di Roma erano ancora rinchiusi al collegio militare. il Papa si fosse presentato davanti a quel cancello anche senza pronunciare una parola, aprendo soltanto le braccia in segno di croce, come aveva fatto il 19 luglio 1943 a San Lorenzo sulle macerie del primo bombardamento di Roma, gesto che aveva anche il significato di un abbraccio, di una partecipazione, ne sono convinto, almeno da Roma non ci sarebbe stata deportazione. 

Ne è la riprova quanto accaduto a Sofia dove quando già erano pronti i carri bestiame nella stazione e gli ebrei erano già stati rastrellati, ci fu l’opposizione del Primate ortodosso e del vicepresidente del Parlamento bulgaro Dimitar Pechev e di numerosi parlamentari che pure erano fascisti, che pure erano riconoscenti verso il nazismo che aveva consegnato la Macedonia alla Bulgaria che l’aveva sempre rivendicata. Malgrado questo si opposero e tutti i 50.000 ebrei arrestati vennero rilasciati.

Altro esempio è quello della Danimarca,  dove il Re Cristiano X protestò vigorosamente con i nazisti per l’imposizione delle leggi anti-ebraiche e quando gli occupanti ordinarono  l’applicazione della stella gialla sugli abiti degli ebrei comunicò loro che anche lui avrebbe applicato la stella gialla sui suoi abiti. E i nazisti ritirarono l’ordinanza e dalla Danimarca non ci fu deportazione di ebrei. 

Da questi due esempi si evince che se ci fosse stata una forte opposizione morale da parte di coloro che avrebbero dovuto e potuto farlo il massacro si poteva quantomeno ridurre.

Approfitto dell’occasione che mi è stata offerta di parlare qui questa sera per raccontare con estrema sintesi cos’era Auschwitz. Per noi pochi sopravvissuti è un imperativo categorico testimoniare, parlare, gridare se necessario,  sempre, in qualsiasi occasione  perché la memoria non vada perduta. La memoria non è un patrimonio cristallizzato che ha a che fare soltanto con il passato ma riguarda anche il presente ed è proiettata nel futuro.

Auschwitz era il luogo dell’orrore assoluto dove tutto era violenza, disperazione, morte. Dove il fumo e le fiamme di quegli orrendi camini dei crematori si alzavano alte, si scontravano e ricadevano in miriadi di scintille che si spegnevano come tante stelle cadenti, ma quelli erano i nostri morti. 

Dove il prigioniero veniva sradicato dal mondo e proiettato in un luogo inimmaginabile, ostile e privato di ogni diritto. Non poteva avere una famiglia, non poteva avere ricordi - anche il ricordo dei nostri cari mandati a morire era affievolito dalla necessità per sopravvivere di pensare soltanto al presente - e questo non ho potuto e non ho saputo mai perdonarmelo. 

Il prigioniero non poteva protestare, non aveva più un nome che era stato sostituito da un numero tatuato sull’avambraccio sinistro. Alla conta dell’appello i prigionieri venivano indicati come stùcke ovvero pezzi, non come uomini o prigionieri, e così finiva per perdere anche la propria umanità. Gli erano stati tolti anche i peli ed i capelli. Non poteva avere speranza ed infine gli veniva tolto anche il diritto di vivere.

E’ inutile raccontare il resto: la fame, la sete, il freddo, le percosse, le sevizie e tutte le nefandezze del lager. Per rendere appieno la mia testimonianza dovrei trovarmi nelle condizioni di allora. Come potrei ad esempio raccontare la fame? quando una persona ha mangiato la fame la dimentica e così per il resto.

Ecco, questo è accaduto tra l’indifferenza del mondo che pure sapeva.  

Ha detto Hannà Arendt: per commettere i crimini più atroci non occorrono grandi personalità assassine, basta un popolo che sta alla finestra, guarda e non vede.

 

mostre e iniziative

Anne Frank - Una storia attuale

Terezin - disegni e poesie dei bambini del campo di sterminio

Non avevamo ancora cominciato a vivere - voci e immagini dai campi di concentramento per giovani di Moringen e Uckermark

 

La Rosa bianca - Studenti contro il nazismo

 

I ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola

 

La Memoria per un futuro di Pace

A scuola col duce

Qui non ho visto nessuna farfalla

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...Festa d'aprile!

La storia cantata - Parole e musiche della Resistenza

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25 aprile 2004

Teatro, convegno e musica per ricordare la Liberazione

Itinerari di libertà

I canti del '900:

spettacolo della S.M.S. Torrione Alto di Salerno

concorso